giovedì 23 maggio 2013

il mistero della reliquia scomparsa


Il restauro non ha chiarito il mistero. Che fine ha fatto la reliquia che una tradizione millenaria vuole conservata all'interno della tavola di Sant'Agata? L'esame radiografico della tavola eseguito nel corso dell'ultimo restauro ha svelato che la reliquia non c'è: al suo posto c'è però una tamponatura. Era stata interpretata come un nodo presente nel legno, eliminato e poi stuccato. Nel corso dell'ultimo restauro si
è ritenuto fosse la tamponatura di una trivellazione fatta eseguire dal vescovo Omobono Offredi. Ma il parroco di Sant'Agata Giuseppe Maria Bonafossa nel 1798 spiegava che scuotendo la tavola questa risuonava come se al suo interno nascondesse qualcosa. Era forse la reliquia conservata in un foro poi chiuso, dove sono state rinvenute tracce di vetro e ossidi di ferro, come se si trattasse di un ampolla contenente sangue? Ma chi l'ha rimossa? L'unico ad avervi messo mano è stato nel 1926 il restauratore Mauro Pelliccioli. A questo punto il conservatore per i beni artistici diocesani monsignor Achille Bonazzi ha richiesto un parere al delegato della diocesi di Catania. Dopo anni di “guerra fredda” tra le due diocesi, forse si potrà collaborare per cercare finalmente la verità. E il mistero si infittisce. Di questa curiosa tavola che si dice comunemente “sacra” non tanto per i soggetti che la illustrano quanto per la tradizionale convinzione che essa sia un reliquiario, non si era mai ufficialmente parlato prima del 1925. Se ne era parlato invece, e sempre dal punto di vista devozionale, come scrive Antonio Campi: “Quella Tavola con somma veneratione si porta ne' grandi incendii, contra i quali si è trovata sovente esser singolar rimedio: portasi anche questa tavola a tempi nostri processionalmente ogni anno intorno la Città alli 5 di febraro giorno solenne per la festa di Sant'Agata”. Evidentemente il Campi non era neppure sfiorato dal sospetto che quel reliquiario fosse un cimelio artistico; e alla stessa maniera non ne furono sfiorati gli storici successivi fino, appunto, a quel 1925, quando la tavola venne “scoperta” da Ugo Gualazzini. La tavola, come i cristalli che la proteggevano, era del tutto annerita per il depositarsi secolare del fumo delle candele, al punto che, almeno fino a tutto il Settecento, si pensava fosse una lastra marmorea. Ridotta così in condizioni di totale illeggibilità, ci si può spiegare anche come si sia potuto ignorarne il significato artistico per tanti secoli. Fu soltanto l'operazione “abusiva” di aprire i cristalli che la racchiudevano, a rivelare la presenza dei dipinti sulla tavola di legno e ad avviare il prezioso cimelio verso la celebrità. Ci volle un anno perchè il restauratore Mauro Pelliccioli riuscisse a riportare in vita la tavola, pazientemente consolidata e ripulita, nella pienezza dei suoi valori. Il legno, com'è noto, è dipinto su entrambe le facce: da una parte raffigura la Madonna con il Bambino e, al di sopra, in proporzioni assai più ridotte, la scena della Pentecoste. Dall'altra parte racconta, distribuiti in quattro fasce, episodi della vita e del martirio di S. Agata: il bordo è costituito da un fregio che svolge sui quattro lati un motivo di piccoli archi continui, in cui Vittorio Sgarbi ha voluto vedere un motivo derivato dall'arte islamica. Sempre Sgarbi ne attribuisce l'esecuzione all'opera di un artista lombardo, attivo verso il 1294-1295, sensibile alla cultura toscana, ma orientato verso quella corrente realistica che da Wiligelmo arriva sino ai Campi e a Caravaggio. Il suo valore artistico, peraltro, è una scoperta recente di Roberto Longhi. Per millenni la tavola è stata ritenuta solo un prezioso reliquiario e, come tale, oggetto di una particolare venerazione. E per secoli è stata come tale contesa e al centro di una vera a propria guerra delle reliquie che ha opposto, almeno fino agli Cinquanta del secolo scorso, Cremona a Catania, terra d'origine della martire cristiana Agata. Ma davvero nella sacra tavola non c'è nulla che ricordi il martirio della santa catanese?
L'esistenza di una reliquia della santa è documentata da Guglielmo Durando, scrittore, canonista e liturgista morto nel 1296. Durando ci informa che ai suoi tempi era ancora viva l'eco delle vicende dei martirio di S. Agata e rilevava che la martire, dopo aver subito tante torture, era morta in carcere e che al momento della sepoltura un angelo avrebbe posto accanto alla sua testa una tavoletta in cui c'era scritto MSSHDEP, cioè “mentem sanctam spontaneam, honorem Deo et patriae liberationem” (mente santa spontanea, onore per Dio e liberazione della patria). Da questo sarebbe invalsa la consuetudine di celebrare ogni anno una processione. La tavoletta marmorea sarebbe poi stata trafugata nel 568 da un prete cremonese durante l'invasione longobarda e trasportata a Cremona dove, nei pressi della porta Pertusia, venne eretta una cappella in onore di S. Agata. L'esistenza della tavoletta marmorea venne infine registrata da Giovanni Baldanus nei suoi “Acta Sanctorum”, pubblicati a partire dal 1643. Un'altra conferma viene dallo stesso vescovo Sicardo, morto nel 1215, che spiega di avere appreso da una precedente relazione che quella tavoletta era stata collocata in una piccola chiesa, costruita in onore di S Agata presso la Porta “Pertusia” per essere poi trasferita nella nuova basilica, edificata a partire dal 1077 ed affidata alle cura dei Canonici Lateranensi a nome della Sede Apostolica. Nel 1760 il Capitolo della Cattedrale e il civico Senato di Catania scrissero all'allora vescovo di Cremona mons. Ignazio Maria Fraganeschi, per indurlo a voler effettuare finalmente una ricognizione della preziosa tavoletta di sant'Agata, per averne una relazione. Ma il vescovo fu lapidario: il popolo cremonese non era assolutamente disponibile che la cassetta venisse manomessa, per evitare che i catanesi avanzassero un'eventuale pretesa per la restituzione del presumibile furto di quella tavoletta. Il vescovo cremonese non fece altro che agire come il suo predecessore Nicola Sfondrati, divenuto poi papa Gregorio XIV. Ed ancor prima San Carlo Borromeo che in visita pastorale alla basilica nel 1575 nel disporre la ricognizione delle reliquie, nel vedere la teca si limitò solo a pregare e a venerarla. In realtà la convinzione che la tavola dipinta potesse essere una teca contenente la piccola lastra di marmo si era diffusa a partire dalla ricognizione del vescovo Omobono Offredi, fatta propria dallo stesso parroco Giuseppe Maria Bonafossa, che nel 1798 scriveva che la tavola, sia per il peso che per il rumore, potesse contenere la leggendaria tavoletta.
Un altro tentativo fece monsignor Salvatore Romeo scrivendo nel 1922 all'abate di sant'Agata Agostino Desirelli, ma non ottenne altra risposta che un sommario accenno dell'iter storico e una descrizione della tavoletta, con l'esplicita aggiunta che non si poteva prevedere altro: «perché il sacro deposito essendo stato trasportato da Catania a Cremona incassato, come di presente si trova e inchiodato in tavola dipinta, non essendo stato mai disserrato, nessuna memoria certa c'è della sua forma, né delle sue qualità».
Ancora nel 2002 il vescovo di Catania monsignor Santo D'Arrigo era convinto che i cremonesi si fossero impossessati di quella reliquia da 14 secoli e sperava che, dopo tante insistenze, si decidessero finalmente ad “aprire la cassetta contenente la preziosa lapide elogiativa di sant'Agata, con tutte le possibili precauzioni, cautele e garanzie che essi potrebbero esigere: la verità e il coraggio non nuocerà ad alcuno”. Nel 1951, un'ultimo tentativo per ottenere delucidazioni era stato fatto dal sacerdote Giuseppe Consoli, cui da Cremona fu inviata una risposta sorprendentemente quasi identica a quella fornita nel 1922 ad una precedente richiesta di don Salvatore Romeo. Cosa difficilmente spiegabile, perchè nel frattempo vi era stato sulla tavola il primo intervento restaurativo che avrebbe dovuto dirimere la questione, non nota certamente ai più, ma sicuramente ben conosciuta dai diretti interessati. Anche l'esame radiografico eseguito nel 1979 non ha dato una risposta definitiva: la tavola non avrebbe al suo interno una lastra marmorea ma solo “un indecifrabile corpo opaco, della forma di una monetina, appena sopra la testa della Madonna”. Eppure il fatto che la tavola di Sant'Agata sia dipinta su entrambi i lati, che sia stata venerata e portata in processione non come una semplice effigie, che rechi il misterioso monogramma MSSHDEPL scolpito secondo la tradizione sull'angelica tavoletta marmorea, depone a favore che possa trattarsi di una teca. Ma dov'è finita allora la reliquia reclamata dai catanesi da oltre sue secoli?