lunedì 11 dicembre 2017

Il medico della teriaca

Un vaso farmaceutico del XVIII secolo
Una panacea per tutti i mali, dove scienza e magia insieme davano origine ad un mix che era insieme antidepressivo e ansiolitico, aspirina e viagra, antidolorifico, antibiotico, ricostituente e molto altro ancora. La teriaca o triaca, con le sue oltre settanta erbe e l'indispensabile veleno di vipera, è stata per duemila anni la medicina più preziosa e ricercata, in grado di sbaragliare qualsiasi altro preparato chimico, aldilà di ogni ragionevole dubbio e buonsenso. A contribuire al successo di questo prodotto della farmacopea europea, tale da farne una preparazione ancora ricercata agli inizi del secolo scorso, è stato un medico cremonese della fine del Cinquecento, Orazio Guarguanti, originario di Soncino, che tra il 1595 ed il 1605 scrisse un'Apologia della Teriaca dedicata al vescovo di Lodi e Nunzio Apostolico presso la Serenissima Signoria di Venezia Ludovico Taverna. Guarguanti assicura che la teriaca “mantiene in salute, rende la vita più tranquilla e la prolunga, ringiovanendo tutti i sensi” ed è questo il motivo per cui “i Romani Imperatori avevano come usanza a ogni far di Luna prenderne due scropoli  in un cucchiaio di miele con due bicchieri d’acqua” (lo scrupolo equivale a grammi 1,075). A detta del Guarguanti la teriaca era adatta a depurare l'organismo e guarirlo dalle malattie più disparate: “per combattere la tosse vecchia e nuova, per i dolori di petto(angina), per le infiammazioni dello stomaco e i dolori colici, per le febbri maligne causate dalla putredine del rene, per rafforzare la difesa del cuore e i suoi spiriti, per difendere il corpo da qualsiasi veleno e dai morsi delle vipere e dei cani, per ridonare vigore ai corpi corrotti da cagioni occulte, per ridonare l’appetito perduto, per sanare le emicranie antiche, per curare le vertigini e le difficoltà dell’udire, per svegliare gli appetiti venerei, per frenare le pazzie dei frenetici inducendo il sonno, per favorire l’evacuazione dei vermi e specialmente di quelli larghi e infine per preservare il corpo dall’infezioni quali quelle della lebbra e della peste.A Venezia, dove il nostro medico soncinese scriveva, la preparazione della teriaca costituiva un'attività economica di tutto rispetto, grazie alla facilità con cui potevano essere reperite le materie prime necessarie. Il riconoscimento della loro alta qualità diede un grande impulso all'attività degli speziali che, per certificare il prodotto e proteggerlo dalle adulterazioni, iniziarono a preparare la teriaca pubblicamente, dopo aver esposto le piante medicinali e le vipere nei tre giorni precedenti la cerimonia a cui partecipavano le maggiori autorità della Serenissima ed il Collegio dei Medici che, una volta realizzata la preparazione, ne avrebbe certificato la qualità ed autorizzato la vendita. L'evento si svolgeva a maggio, quando giungevano a maturazione alcuni dei componenti, e gli speziali che preparavano l'intruglio indossavano una casacca bianca con pantaloni rossi. Confluivano allora a Venezia medici e speziali per imparare le tecniche di preparazione e scoprirne trucchi e segreti. Fra questi, attirato dal successo del medicamento, anche Giovanni Battista Cucchi, maestro speziere dell'Ospedale Maggiore di Milano, che diventerà poi il primo produttore milanese, procurando all'Ospedale notevoli guadagni. La Teriaca veneziana, tuttavia, era la migliore. Tutti i componenti, come il Pepe lungo, il Phù (valeriana), l’Oppio, il Cinnamomo (cannella), lo Zaffrano (zafferano), la Mirrha, l’Opobalsamo (Balsamo orientale), il Vino (Malvasia), venivano scelti con grande cura dagli speziali veneziani, favoriti dal fatto che le flotte della Serenissima portavano dall’Oriente le migliori qualità degli ingredienti necessari. Dai vicini colli Euganei venivano poi le vipere, che andavano catturate verso la fine della primavera, ma prima dell’inizio dell’estate, e non dovevano essere né di sesso maschile né gravide. L’unico altro componente di origine animale erano i testicoli di castoro.
Orazio Guarguanti
E' in questo ambiente che arriva nel 1585, accompagnato da una lusinghiera fama, il nostro Orazio Guarguanti, proveniente da Padova, dove aveva completato gli studi medici sotto la guida di Girolamo Mercuriale. Orazio era nato a Soncino nel 1554, dove aveva iniziato gli studi sotto la guida di dotti precettori, per poi passare a Padova per apprendere la filosofia e la medicina, laureandosi il 3 marzo 1580. Riferisce Paolo Ceruti nella sua Biografia Soncinate, che nel diploma di laurea “vien chiamato dottissimo eruditissimo giovane, e così compitamente ornato d'ogni dote di natura, che nulla più si potesse in lui desiderare: e dopo le più solenni attestazioni della probità e buona sua condotta vi si dice: che nei pubblici esperimenti, a cui venne sottoposto spiegò così meravigliosa eccellenza d'ingegno, di memoria e di dottrina, che non solo sostenne; ma superò di gran lunga la comune aspettazione di que' dottori”. Nel 1589 Orazio entrò nel collegio dei Medici di Venezia e nel 1595 diede alle stampe tre opuscoli, il primo dei quali dedicato appunto alla teriaca. Il motivo lo spiega lui stesso nella dedica al vescovo di Lodi Ludovico Taverna: “Le ragioni, che m'hanno indotto a scriverne, sono state due: la prima fu il rispetto della vostra sanità; la seconda l'eccellenza della medesima Theriaca. Il rispetto della sanità perchè non si può imaginare rimedio alcuno, che meglio della Theriaca possa preservare V.S. Illustrissima da q ualunque infirmità: Mi sono poi indotto a scriverne, rispetto alla Theriaca stessa, perche sempre m'ha recato una gran maraviglia il vedere, che dalla maggior parte de' Medici de' nostri tempi è stato quasi dismesso l'uso di lei: i quali vengono cosi di rado, & con tanto timore ad usarla, che pare che si sieno dimenticati delle segnalate virtù, che si sogliono scoprire in essa per custodia, & per sanità della vita nostra. Imperoche se la Theriaca (come diceva Galeno) fosse buona solamente al morso de' serpenti, ò semplicemente contra i veleni, senza dubio, che noi non ci doveremmo curar tanto di lei: se bene anco per questo ella è cosa preciosa. Ma perche ella è un rimedio mirabile, quasi ad infine malatie: come a conservar la sanità, a render la vita tranquilla, & a prolungarla, a rinvigorire tutti i sensi, & non solo a discacciare i mali presenti, ma a preservarci sicuramente, che noi non cadiamo nelle malattie: io perciò non posso tolerare, ch'ella sia cosi di rado adoperata in Italia, & massime d'alcuni medici di questa Città. Et ho per meglio usarla, quando noi godiamo la nostra sanità, & schifare le malattie, che non voler mai in sanità prender medicamenti, ò rimedi di qualunque sorte, & diventare alla fine sottoposti alle malattie”.

Il trattato di Orazio Guarguanti
Come detto la preparazione della Triaca costituiva a Venezia un avvenimento, che iniziava nei tre giorni precedenti con l'esposizione dei fasci delle erbe, cortecce, fiori e radici necessarie, confezionati con eleganti nastri di seta colorata, dei vasi di Murano contenenti menta, resine, forme, balsami e oppio, e soprattutto, dalle gabbie di ferro contenenti le vipere per la fabbricazione dei trocisci, specie di pastiglie che ne consentivano una migliore conservazione. Le vipere venivano dapprima decapitate, poi scuoiate, venivano eliminate le viscere e bollita la carne. Quindi la carne veniva impastata con aneto e del pane abbrustolito grattugiato e messa ad essicare all'ombra mentre gli altri ingredienti venivano pestati dentro grandi mortai di bronzo e di legno. A controllare le varie fasi di preparazione della teriaca erano il Cassiere, il Notaio e Fiscale del Magistrato alla Sanità, un Protomedico, il Priore e due Consiglieri del Collegio dei Medici Fisici, il Priore e due Consiglieri dell'Arte degli speziali a cui venivano mostrate le droghe una volta pestate dentro i grandi mortai posti fuori dalle botteghe per evitare di respirar ela polvere. Quindi la teriaca veniva posta a macerare in grandi giare che venivano sigillate alla presenza delle autorità preposte al controllo.. Trascorsi due mesi si invitavano nuovamente i controllori perchè togliessero i sigilli alle giare per poter mettere il composto in commercio. Le spezierie cui era permesso produrre vendere la teriaca erano chiamate “triacanti”. A descrivere minuziosamente la preparazione in modo da insegnarla ai propri colleghi è lo speziale veneziano Giorgio Melichio, conosciuto in tutta Europa e padrone della "Spetiaria allo Struzzo in Venezia" , contemporaneo ed amico del nostro Orazio Guarguanti, che nel 1595 compone "Avertimenti nella compositioni de' medicamenti per uso della spetiaria". Scrive dunque il Melichio: “Dirò però quel tanto che noi usiamo farla nell'inclita Città di Vinegia, giardino e publica piaza di tutta Europa: ornata di così periti & esperti Spetiali che sono anni ratione al mondo.Dirò hora quel tanto che s'ha avertito nella Theriaca fatta da me in Vinegia il presente anno ordinatamente.Fur preparati tutti i simplici necessarij per la composizione così della Theriaca come del Mithridato e fattone scelta furno messi in bellissimi vasi e riposti in luoco publico & molto ornato per tre continui giorni ad effetto che sian spettaculo a tutti e che ciascun potesse volendo esaminare le predette cose: & al quarto giorno, convocati gli Eccellenti Priori, e Consiglieri così di Medici, come di spetiali, e fatto diligente esamina de gli ingredienti, furno con molta diligenza tolti a peso secondo la descrizione presente di modo che non si prendeva cosa se non co'l giusto peso non variando ponto di più o meno. Dopo si toglievano le cose a pestare grossamente e tutti si mettevano in un gran bacile così rotte e poi meschiate bene insieme si partivano in sei mortari & si davano a pestare perchè le cose umide s'unissero con le secche acciochè non s'attacassero nel mortaro se ben l'ontuosità della mirrha il facesse anco. Primo fur contusi li trochisci di vipere; imperochè quando son ben preparati è la loro sostanza simile alla colla del carniccio difficili a pestarli: poi si aggiungono il pepe longo e poco dopo la cassia, il cinamono e rotti si rimetton nel bacile. Poi si rompe pestando l'irios, il costo, la gentiana,l'aristologia, il centaurio,il pentasilon, il meo, il phu, il stecado, il squinanto & il spigo; quali rotti si mischiatano con gli altri nel bacile. Appresso si pestano li semi de i navoni, il pettosello,gli anisi, seseli, finocchio, thlaspi, ammi, dauco & l'amomo. Et rotte furo aggionte con l'altreavertendo che per ciascun ordine di cose che si pestavano aggiungevano nel mortaro un poco di mirrha a tal che nel pestar le cose le spetie non s'attenessero al fondo del mortaro imperochè l'ontuosità della mirrha tiene unite le cose eshalabili. Dopo si pesta il scordio, dittamomarrobio,calamento, polio, chamepiteo, folio & hiperico. La gomma e l'incenso si pestaranno in altro mortaro sole, acciò non s'attaccassero con l'altre spetie, come in altri con esperienza s'è visto. Li trochisci scillini, e gli hedicroi insieme soli sian pesti e uniti all'altre spetie. Le rose & zaffrano sian messe un poco al sole & dopo peste & gionte all'altre.
Il reupontico sia pesto & aggionte con l'altre. La terra lemnia si trita senza fatica,l'agarico sia fregato al tamiso & così si facci in polvere. Le gomme saran ben contuse & dopo vi si aggionga del vin malvatico & stiano per una notte infuse & e il dì sequente con debita portion di detto vino sian passate per il staccio,il simil parimenti si fara nel succo di liquiritia & e de l'hipocistis:l'acatia si triturarà con li semi cioè che sia messa con essi nel triturarli, percioche l'orientale è si secca & arida che facilmente si pestrarà con li semi”.
Pieter Brueghel, l'alchimista
Era comune la pratica della sostituzione di alcuni elementi non solo per la preparazione della teriaca, ma in generale per tutti i rimedi che si preparavano. Essa era permessa solo nei casi di impossibilità assoluta di approvvigionamento e, assolutamente vietata, se lo scopo era solo quello di speculare sui costi. Il permesso indusse molti "spetiali speculatori" a mascherare, dietro l'impossibilità dell'approvvigionamento, le sostituzioni più strampalate dando vita a medicamenti che non avevano alcun effetto terapeutico. Ciò spinse i monaci speziari prima, e quelli secolari poi, a creare nelle immediate vicinanze delle loro "farmacie" o nelle Università, gli orti botanici o "orti dei semplici" dove venivano, con grande cura, coltivate le specie vegetali più difficilmente rintracciabili.

La teriaca continuò ad essere preparata a Bologna fino al 1796, a Venezia presso la spezieria Testa d'Oro fino alla metà del 1800 e a Napoli fino al 1906. Un fenomeno che, a ben vedere, ha dell'incredibile. Come è possibile che per due millenni medici ed amministratori mettessero a repentaglio la loro credibilità affidandosi ad un medicamento che non aveva alcun riscontro nella pratica clinica ed alcun fondamento scientifico? Effettivamente nella teriaca sono presenti alcuni componenti che, come poi si è dimostrato, potevano realmente modificare, almeno in maniera transitoria, alcune condizioni morbose dell'organismo, con effetti, se non curativi, almeno palliativi. Ricordiamo gli effetti cardiotonici della scilla, l'azione sedativa dell'oppio, gli effetti antidepressivi dell'iperico o ansiolitici della valeriana, o gastroprotettivi della liquirizia. Di certo la teriaca ha rappresentato la sfida più completa dell'antichità alle malattie, mettendo insieme le migliori piante medicinali, i migliori medici, la migliore qualità degli ingredienti uniti ad un pizzico di magia, superstizione, e mistero.

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