venerdì 5 gennaio 2018

Il mio nome è Hume...David Hume

David Hume
Forse a Cremona, dove fervevano i preparativi per la visita del nuovo governatore dello Stato di Milano, il conte Ferdinando di Harrach con la moglie, che, appena fresco di nomina, tornava in città dopo pochi mesi dal primo passaggio nel settembre 1747, era sfuggita la presenza di quel grassoccio e pacifico nobiluomo scozzese. D'altronde erano anni che la città e le campagne erano percorse senza sosta da soldati spagnoli, francesi e austriaci che chiedevano in continuazione vitto, alloggio e denaro. E poi quel signore elegante dall'aspetto bonario, faceva di tutto per passare inosservato. Guardava, ascoltava e passava oltre. Guardava e scriveva, tanto. Si accompagnava ad un maturo militare inglese, il tenente generale James Saint Clair, responsabile delle forze militari britanniche in Fiandra, dove era stato inviato due anni prima, quando dalla corte di Vienna erano iniziati a soffiare altri venti di guerra. Era lui che aveva voluto con sé quel giovanotto, che di militaresco non aveva nulla, in una delicatissima missione, una vera a propria operazione di intelligence, destinata a restar sotto traccia. Una presenza talmente discreta che non venne mai notata dagli annalisti locali. Eppure quell'uomo mite, grassoccio e rubizzo, di lì a qualche anno avrebbe fatto molto parlare di sé. Quello strano tipo, che parlava un italiano fluente ed aristocratico con una marcata inflessione inglese, non era altri che David Hume. Il ricordo di quel passaggio a Cremona è raccolto nelle poche righe, acute ed essenziali, di una lettera inviata all'amico Montesquieu il 12 maggio 1748: “Ahimè, povera Italia! Il povero abitante muore di fame nel mezzo dell'abbondanza della Natura: e nella vigna carica arde per la sete. Le tasse sono qui esorbitanti oltre ogni limite”. Il tutto intervallato da un passo tratto dalle Egloghe di Virgilio, la sua grande passione: “Impius haec tam culta novalia miles habebit; Barbarus has segetes?”, cioè “Un veterano senza Dio possiederà questo terreno incolto, questi campi un barbaro?”. Non poteva esserci un'immagine più chiara per descrivere la disgraziata situazione in cui versava Cremona, paradigma di quella dell'intera pianura Padana, che il quel momento attraversava la sua crisi peggiore. Anche per Mantova, dove era stato solo qualche giorno prima, Hume osservava l'11 maggio: “Dirò solo che nulla può essere più singolarmente bello della pianura della Lombardia, né più mendicante e miserabile di questa città”.
Tra il 1745 e il 1748 Hume fu segretario particolare del generale James di Saint Clair, già luogotenente delle forze britanniche nelle Fiandre, presso le ambasciate segrete militari di Vienna e di Torino. “Allora vestii l’uniforme di ufficiale…e aiutante in campo” , osserva Hume nella sua autobiografia, racimolando una fortuna di 1000 sterline. Saint Clair lo aveva scelto, chiesto e ottenuto rifiutando un segretario che gli era stato assegnato dal ministero, il che significa che il filosofo godeva della massima fiducia del luogotenente. Hume accettò l’incarico soprattutto per il desiderio di fare nuove esperienze e conoscenze e anche per un obbligo di riconoscenza verso Saint Clair perché aveva già rifiutato in precedenza l’impiego offertogli dallo stesso nelle Fiandre. Dopo un viaggio attraverso l'Olanda e la Germania e un soggiorno a Vienna, il generale St. Clair partì da Vienna per Torino il 26 aprile 1748, passando per Trento, Milano, Mantova, dove giunse l'8 maggio, e Cremona. L'annuncio della firma dei preliminari di pace a Aix-la-Chapelle rese però praticamente inutile la missione di ambasceria; tuttavia, su richiesta del re di Sardegna, il generale St. Clair, con Hume e il seguito dell'ambasciata, si ferma a Torino fino alla fine di novembre. Del soggiorno di Hume a Torino rimangono poche notizie, più che altro aneddoti sul suo presunto innamoramento di una contessa e su alcuni disturbi fisici provocati dall'alimentazione. Hume continuò la carriera diplomatica anche in seguito perché tra il 1763 e il 1766 fu segretario del conte di Hertford, ambasciatore inglese in Francia e, per qualche mese, egli stesso ambasciatore supplente. Ancora fra il 1767 e il 1769 fu sottosegretario di stato del ministro per il dipartimento del Nord, generale Conway, nel governo di William Pitt il Vecchio. Ma il vecchio e bonario Hume pare non averne approfittato più di tanto.
Dal viaggio da Vienna a Torino al seguito di Saint Clair, che accompagnerà anche nell’attacco tentato alle coste della Francia, nascono le considerazioni di Hume sulla guerra e la sua posizione critica nei confronti dei conflitti, da cui emerge lo sguardo realista e a tratti ironico di Hume sulla “miserabile guerra. Questi scritti si collocano in una fase decisiva per lo sviluppo del suo pensiero politico e ci consegnano una figura inedita del filosofo come cultore dell’arte bellica, esperto di strategie militari, ufficiale amico di generali e ministri, osservatore acuto delle personalità dei sovrani e delle dinamiche internazionali.
Cremona nel XVIII secolo
Quando Hume arrivò a Cremona, la città usciva dall'incubo di una nuova guerra, che sembrava ancora realtà solo un anno prima, quando ad aprile erano già stati requisiti 170 carri con quattro cavalli ciascuno per le esigenze delle truppe, ed a giugno era stata applicata una nuova tassa di oltre quattro lire per finanziare altre imprese militari. Perciò quando il 18 ottobre 1748 arrivò la pace di Aquisgrana che riconosceva Maria Teresa come legittima erede di Carlo VI e al marito Francesco Stefano di Lorena il titolo imperiale e quello di Granduca di Toscana, la città tirò un sospiro di sollievo. La Lombardia avrebbe goduto di 48 anni ininterrotti di pace, dopo quasi mezzo secolo di ininterrotte operazioni belliche che avevano pesantemente falcidiato l'economia del territorio. Ancora a gennaio del 1746 era stata richiesta una nuova provvista di frumento per le truppe, una raccolta di carri per rifornire di sale il Piemonte, un nuovo rifornimento per la fortezza ed il campo di Pizzighettone, ed ancora una raccolta di muli per l'armata per paura della recrudescenza della peste bovina. Da quindici anni la provincia era percorsa in lungo e in largo dagli eserciti: prima da quelli coinvolti nella guerra di successione polacca, e poi in quella austriaca. Fin dal 1730 si era trasformata in una grande caserma: alla fine di luglio di quell'anno, infatti, le caserme rigurgitavano di armati e due compagnie vennero alloggiate nel convento di San Pietro, altre due in San Bartolomeo, S. Angelo e S. Domenico, in scuderie vennero trasformate S. Agostino e S. Vincenzo. Il convento di San Francesco fu adibito a magazzino di avena, orzo e spelta provenienti dalla Germania, la chiesa di S. Antonio del Fuoco diventò il magazzino della paglia e delle stoppie. A metà ottobre si annunciava l'arrivo di ben otto battaglioni ed ai primi di febbraio una grida del governatore Daun obbligava i cittadini a mettere a disposizione dell'esercito altri cavalli e carrozze per trasportare le truppe austriache a Casalmaggiore, Pizzighettone, Parma e Piacenza. Alla fine del dicembre 1733 l'esercito franco-piemontese aveva occupato la provincia con settemila cavalli, distribuiti in due gruppi lungo il Po e l'Oglio, da Casalmaggiore a Soncino, compreso Bozzolo. La provincia era al centro di tutte le operazioni militari rifornendo l'esercito confederato di fieno, biade, legna, paglia, olio candele, orzo, granaglie e via dicendo. La presenza di così tanti soldati faceva aumentare i casi di stupro e di adulterio, ma, osservava il cronista di questi fatti, il notaio Carlo Calvi, non tanto per le violenze subite quanto per i regali che i giovani francesi offrivano alle donne povere della città.
Durante il primo inverno di guerra, nei mesi di gennaio e febbraio 1734, Cremona ospitò 15.000 soldati, quasi trentamila la provincia, con 7000 cavalli. L'anno precedente l'abate dei canonici lateranensi aveva espresso la propria preoccupazione che i dirigenti degli ospedali francesi volessero convertire in ospedale la chiesa e la canonica di San Pietro, cosa che puntualmente avvenne, così come per le altre chiese di San Luca, San Francesco, San Geroldo, Sant'Angelo, S, Caterina della Incoronata, il Seminario, i palazzi Redenaschi e Pallavicini e San Domenico. La chiesa e il convento di S. Agostino, secondo quanto affermato dal priore Camia, avrebbero ospitato più di ventimila soldati francesi feriti e ammalati, di cui 17.000 sarebbero morti in tre anni. Gli agostiniani per ottenere il risarcimento dei danni subiti si rivolsero allora all'ambasciatore francese a Roma, attraverso il cardinale Fleury, il quale rispose che se il re Luigi avesse dovuto pagare tutti i danni provocati dalla guerra non sarebbe bastato tutto il suo patrimonio.
Maria Teresa d'Austria
Magazzini militari per la conservazione del fieno furono aperti nelle chiese di S. Antonio Abate e di San Carlo ed il magazzino del vino in S. Cristoforo. Alla fine del 1734 i soldati francesi alloggiati in città erano 12.000 ed in provincia, nei quartieri d'inverno, vi erano 31 battaglioni. Un memoriale dei deputati inviato alla Giunta di Governo ai primi di ottobre del 1735 bene descrive la situazione drammatica del cremonese, dove molti contribuenti che non erano riusciti a versare la loro quota di diaria, avevano ricevuto reiterate minacce di esecuzione, in quanto dopo essere stati spogliati di tutti quei generi da cui si poteva derivare denaro, non erano stati in grado di pagare la loro quota di tributi. Erano stati ridotti in miseria dai continui ordini di carri, buoi, alloggi per le truppe, spoglio di fieni, stoppie e dall'obbligo di acquistare fuori dal paese il fieno per l'esercito. La vendemmia, inoltre, era stata effettuata in buona parte dalle truppe prima del tempo, quando le uve non erano ancora mature. Mentre, non potendoli mantenere, gli animali erano stati spediti fuori Paese. A complicare ulteriormente le cose era sopravvenuta un'epidemia del bestiame, proveniente dal Veneto.
Per questo il 13 dicembre si era celebrato un triduo nella chiesa di S. Abbondio, con suppliche alla Vergine di Loreto e l'esposizione della santa Tavola nella chiesa di Sant'Agata, a cui si doveva offrire un peso di cera bianca. Da un bilancio consuntivo del 15 giugno 1736 in meno di tre anni, a partire dal novembre 1733, Cremona aveva fornito fieno, avena, legna, paglia, alloggiamenti ,stoppie, lettiere per cavalli, e subito danni per mobili, spese di spurgo agli ospedali, letti forniti agli ufficiali per 4.788,231 lire, e per la diaria lire 433.985 moneta di Milano. Nonostante tutto a luglio vennero richiesti nuovamente foraggi e legna, e ad agosto si ordinò di pagare lire 12.2.5 di Milano per ogni lira d'estimo, ed a settembre, appena entrate a Cremona le truppe imperiali, nuovamente di pagare la doppia diaria di 40.000 fiorini. I padroni erano cambiati, ma le tasse restavano le stesse.


L’opera forse più nota di Hume è il Trattato sulla natura umana (Londra 1739), ma che inizialmente non ebbe alcun successo. Esso rappresenta in filosofia una vera e propria svolta: Kant dirà che è stato Hume a risvegliarlo dal suo “sonno dogmatico”. Il sottotitolo del Trattato illustra bene le intenzioni di Hume: è “un tentativo di introdurre il metodo sperimentale di ragionamento negli argomenti morali”. In altri termini, Hume vuole fondare una scienza dell’uomo su basi sperimentali. 
Tutti i contenuti della mente umana non sono altro se non percezioni e si dividono in due classi, che Hume chiama impressioni ed idee. Le impressioni sono tutte le sensazioni, passioni, emozioni nell’atto in cui vediamo, sentiamo, amiamo, desideriamo ecc. Le immagini illanguidite e sbiadite di quelle impressioni sono invece le idee o pensieri. Ogni idea deriva per Hume dalle precedenti impressioni e non vi possono essere idee di cui non si sia avuta in precedenza l’impressione. Hume risolve così totalmente la realtà nel molteplice delle idee attuali e non ammette nulla al di là di esse. Egli tronca quindi di colpo il problema delle idee astratte e delle idee innate: noi non abbiamo idee se non dopo aver avuto delle impressioni; sono solo queste ultime ad essere originarie. Lo scetticismo sarà inevitabile, viste le premesse.