domenica 4 marzo 2018

La terribile spagnola

Compie un secolo la più terribile delle pandemie di influenza, la Spagnola, che all’inizio del 1918 fece la sua comparsa provocando milioni di morti nel mondo: tra il 1918 e il 1920 sterminò tra 25 e 50 milioni di persone, dopo averne contagiate circa un miliardo. Recenti stime parlano addirittura di 100 milioni di morti, cinque volte di più di quanti ne uccise la famigerata peste nera del 1348. Il nome “spagnola” deriva dal fatto che quando iniziò a diffondersi ne parlarono principalmente i giornali del paese iberico, questo perché la Spagna non era coinvolta nel primo conflitto mondiale e dunque la libertà di stampa non era soggetta ai limiti della censura di guerra. Del resto, annunciare che una misteriosa epidemia stava falcidiando popolazione e soldati non poteva avere un impatto positivo sul morale delle truppe, già logore da anni di durissima guerra di trincea. Per questo i giornali del tempo enfatizzavano i fatti della guerra, soprattutto in Italia dove si stava combattendo la battaglia del Piave, definendo l'epidemia “influenza dei tre giorni” e indicandola semplicemente come uno strano morbo. Fino a quando nell'estate del 1918 l'influenza esplose in tutta la sua virulenza, accompagnandosi con gravissime complicazioni a livello polmonare che furono responsabili della maggior parte dei decessi. Si ritiene che in Europa fu introdotta dai soldati americani, sbarcati in Francia nell'aprile del 1917 per partecipare al conflitto, perchè il primo focolaio fu un forte in Kansas o un altro in Texas, dove vennero colpiti 1.100 soldati.
Il nostro paese fu uno di quelli più colpiti dall'influenza spagnola; il tasso di mortalità è stato secondo solo a quello russo, dove le condizioni climatiche estreme aggravarono ulteriormente la situazione. Si stima che in Italia il morbo colpì oltre 4 milioni e mezzo di persone, uccidendone tra le 375mila e le 650mila. Un numero impressionante, se si considera che all'epoca la popolazione italiana era composta da 36 milioni di cittadini. A Cremona, secondo Mario Levi, sarebbero morte 1621 persone ma, per il silenzio che per mesi circondò la misteriosa malattia, potrebbero essere state molte di più.
Un primo accenno indiretto del morbo si ha, però, solo in un'inserzione pubblicitaria dal titolo “Tifo e 'grippe' spagnola” su “La Provincia” del 25 settembre dove si consiglia l'acquisto di un “Assorbi polvere” sulla scorta di un articolo pubblicato sul Corriere della Sera del 19 firmato dal medico capo municipale di Milano sulle norme igieniche da adottarsi per evitare le malattie: “Tutte le nostre Signore ne faranno certamente tesoro e si provvederanno, senza indugio, di un Assorbi Polvere Ideale, perchè questo è l'unico apparecchio che nella sua semplicità e praticità riunisce tutti i requisiti necessari allo scopo. Difatti esso disinfetta gli ambienti, assorbendo istantaneamente polvere e microbi senza diffonderli nell'aria, e non solo pulisce rapidamente ed in modo perfetto pavimenti, mobili plafoni e pareti lucide ecc. ecc. ma, in virtù del preparato speciale di cui è imbevuto, conserva e rende più brillanti tutte le superfici lucide; è quindi non solo igienico, ma anche pratico, utile ed economico”. Il prezzo di un tale portento? 15,50 lire con bastone e 14,75 per l'apparecchio a forma di spazzola per i mobili. Il 1 ottobre, mentre si registravano già i primi morti, usciva un trafiletto dove si diceva semplicemente che, date le “eccezionali condizioni del momento” era stato varato un decreto legge che concedeva ai prefetti la facoltà di fissare i prezzi massimi “dei medicinali di maggior uso”, “allo scopo di ovviare ai gravi danni derivati alla pubblica salute dai prezzi eccessivamente elevati dei medicinali”.
Ma la spagnola uccideva. Lo sapeva bene un povero prete di campagna, don Gioachino Bonvicini, parroco del piccolo borgo di Ognissanti, trecento anime, quasi tutti contadini, che in questo lembo di pianura assiste attonito alla repentina scomparsa dei suoi parrocchiani. A tal punto spaventato da scriverlo nel suo “Diario”. Le poche notizie che si hanno dell'influenza sono frutto in un passaparola e, stante il silenzio degli organi competenti, acquistano quasi la dimensione di un misterioso flagello biblico che si accompagna alla guerra ed all'annata agricola compromessa dalla pioggia, che continua a cadere copiosa.
30 settembre 1918 - annota don Bonvicini - Alcuni giorni or sono Priori Caterina maritata Genevini Liderico è andata ad assistere l'ammalata sua sorella Luigina a Vighizzolo che era in casa della maestra Amalia Priori altra sua sorella, tutte e tre native d'Ognissanti, ma mentre assisteva la sorella, si ammalò essa pure, e così si ammalò anche la maestra Amalia, tre sorelle in casa ammalate, le quali sono ora assistite alla parente Giuseppina maritata Farina, pure di Ognissanti. La notte di venerdì 28 del mese. Mentre si faceva la santa comunione per viatico alla Luigina, l'hanno fatto anche le altre due sorelle. Ieri sera circa alle 11 di notte la Luigina è morta da polmonia secca e tifo, e anche del male che si dice la febbre spagnola, malattia della quale non ho mai sentito il nome e che ora è diffusa in tante città d'Italia e altri luoghi. La morte Luigina arrivata a casa da Milano circa otto giorni fa si è subito ammalata, e nella notte passata è morta. A Milano la malattia è assai diffusa, e mi diceva il parroco di Gazzo alla Pieve, dove stamattina si è tenuta la congregazione foranea, che egli ha parlato con uno che veniva da Milano che là in uno stabilimento di quattro mila operai circa ve ne erano di più di mille ottocento ammalati, e ve ne sono molti, tanto nei borghesi, quanto nei militari. A Parma si dice che il male diminuisce. Qui ad Ognissanti vi sono varie donne e giovani con tifo e condotte all'ospitale, e anche a casa a moglie del maestro Pederneschi Vittorio alla quale in questa mattina ho fatto la santa comunione. Di Dramagni vi sono all'ospitale per tifo tre donne, e a casa alcuni uomini. Non basta adunque il grande flagello della guerra, vi è anche quello di malattie contagiose. L'ospitale di Cremona ha proibito l'entrata agli estranei. Quindi non si può più visitare gli ammalati se non in caso estremo dal padre e dalla madre, ma anche in questi casi si esigono tante prescrizioni. Ha detto poi ancora il parroco di Gazzo che i medici per preventivo della malattia prescrivono di bere vino e fumare”.

In presenza di una tale confusione, mentre l'epidemia infuria, la giunta comunale il 4 ottobre
si decide ad emanare un comunicato ufficiale in cui minimizza la portata dell'epidemia che “ha avuto e mantiene sinora tra la popolazione civile di Cremona, in complesso, un carattere assai mite. Infatti nella maggior parte dei casi si presentano fenomeni morbosi tali per cui gli ammalati vengono obbligati al letto soltanto per tre o quattro giorni”. E mentre altrove la mortalità si presentava con una percentuale del 4-5%, stando alla giunta, “in base alle chiamate ai medici condotti” la mortalità sarebbe stata inferiore all'%. Tuttavia “a profitto di tali ammalati riferibili alla popolazione povera, l'amministrazione comunale avrebbe preferito poter tornare a usufruire dell'Ospedale Ugolani Dati, ma siccome detto istituto nelle attuali contingenze non può essere ceduto, si sta altrimenti provvedendo a cura dell'Ospedale Maggiore occupando, se sarà il caso, locali di pertinenza del Comune. Frattanto, a profitto di tutti, in genere, gli ammalati, la Giunta sta dando ultime disposizioni per attuare un venditorio-permanente di latte ad uso esclusivo degli infermi”. L'amministrazione comunale non volle chiudere le scuole che “non fanno viceversa che arrecare inutili cospicui danni ad altri vitali interessi della collettività”. “Se poi si tien conto che certe misure di carattere sensazionale, ma destituite di qualsiasi fondamento scientifico, contribuiscono più che altro a diffondere il panico che agisce come un debilitante fisico e quindi come una causa di predisposizione a contrarre il morbo, la Giunta confida che, da parte della stampa, dei medici e di tutti i cittadini di buonsenso si vorrà, anziché invocare provvedimenti draconiani, fare piuttosto opera per mantenere la calma fra la popolazione, e per diffondere quei precetti di ben intesa profilassi individuale che già sono apparsi su quasi tutti i giornali dei grandi e piccoli centri”.
Di quale fosse, in realtà, la situazione, ci informa sempre, dalle pagine del suo diario, don Gioachino Bonvicini: “21 ottobre 1918. In questi giorni in questi paesi molti sono ammalati specialmente donne giovani ed anche uomini; vi sono giovani ammalate da tifo ed altre da febbri dette spagnole, che è influenza come è avvenuto in altri anni, morti fino a quest'ora non ve ne sono. Alla Pieve S. Giacomo moltissimi sono gli ammalati tra i quali il medico Tedoldi Amilcare il quale ha la condotta di Sospiro e del ricovero, e lo stesso speziale, si dice che il medico è ammalato gravemente. Andati alcuni in Comune per domandare un medico pei suoi malati hanno risposto che non ne trovano, hanno scritto anche a Mantova e non fu data risposta. Mi diceva uno di Cremona ieri che là moltissimi sono i malati, e vi sono colpite intere famiglie; nei giorni passati all'ospitale ne morivano dai 60 ai 70 al giorno, ora sembra alquanto diminuito il numero dai 25 ai 30. Mancano anche le medicine, e quelle che si danno sono carissime, basti il dire che per un'oncia di olio d'origine (ricino) ci vuole una lira, e a trovarne.
Oltre la malattia i giorni passati sono stati con grandi piogge, il melicotto sulle aie marcisce, ne hanno ancora nei campi da raccogliere e le pannocchie che sono in terra, che sono ancora molte ancora, queste vanno a male. I poveri vedono tutta la loro speranza che consiste nella raccolta del melicotto andar fallita. Sono stati fortunati quelli che l'hanno raccolto in tempo. La semina del frumento non è ancora cominciata, ed è passato San Luca che il proverbio dice: chi non ha seminato balucca. Anche questa semina la si teme infelice, perchè mi hanno detto che la semina fatta sul tardo non dà quella rendita che dovrebbe dare”.

“La calma è il segreto di ogni successo”, ammoniva ancora il giornale il 5 ottobre, assicurando l'andamento benigno dell'epidemia, che però, contrastava di fatto con le precauzioni adottate in tutta la provincia per evitare il contagio, “data la natura dell'infezione, la quale, rapida nel diffondersi, si trasmette anche a mezzo di individui apparentemente sani”. A complicare il quadro l'impossibilità di utilizzare al massimo l'ospedale Ugolani Dati, già impegnato nel soccorso dei soldati ammalati, e la mancanza di medicinali e disinfettanti, di cui si inizia a parlare dopo una decina di giorni dall'insorgenza dell'epidemia, quando la farmacia dell'Ospedale si trova sprovvista del chinino necessario a fronteggiare l'emergenza. E' proprio verso la metà del mese che iniziano ad affiorare i primi dubbi in merito alle dichiarazioni rassicuranti fornite dal medico provinciale Alessandro Prati, secondo cui in alcuni comuni colpi per primi la spagnola “è già in via di decrescenza, mostrando tendenza a presentare, abbastanza breve, il periodo di massimo sviluppo”. La polemica infuria e l'Ospedale Maggiore è costretto ad ammettere di avere quasi esaurito i 7,155 chili di chinino a disposizione il 1 ottobre, e di avere scorte di “sali di chinina” fino al 31 dicembre, residuo degli acquisti fatti nell'anno precedente, ma di aver già dato avvìo alle pratiche per le nuove forniture. Ed un anonimo funzionario di un ufficio pubblico denunciava: “E' bene si sappia che se non fosse stato per l'opera intelligente e soccorritrice dei sanitari che tutto hanno sacrificato e sacrificano per combattere l'influenza, l'ufficio locale d'igiene ben poco o nulla ha fatto e fa per evitare la diffusione dell'epidemia specialmente nelle case popolari. Nientemeno detto ufficio ha anche negato al disinfezione di alcuni uffici governativi dove, per l'affollamento di persone che lavorano in locali ristretti, giornalmente si registrano casi di malattie epidemiche con decessi. E che cosa vogliono aspettare questi signori che ne muoiano degli altri prima di provvedere ad una curata disinfezione dei locali medesimi?”. Il 17 ottobre l'ennesima pubblicazione di “precetti igienici contro l'epidemia influenzale” suona quasi una resa: “La diffusione generale di questa malattia dominante, e la impotenza della autorità sanitarie ad isolarne i focolai oramai troppo numerosi, debbono convincere la cittadinanza che solo la osservanza spontanea, diligentissima dei singoli cittadini e delle singole famiglie a precetti igienici ed alle disposizioni profilattiche possa affrettare la fine dell'epidemia conciliando nel modo più efficace l'interesse privato e quello della pubblica salute”, Ma ormai l'interesse di tutti è concentrato altrove, alla battaglia di Vittorio Veneto iniziata il 24 ottobre con l'avanzata delle truppe italiane che porterà alla vittoria. Anche don Bonvicini dal suo piccolo osservatorio non parla più della moderna pestilenza. Ne fa solo un accenno qualche giorno dopo, in occasione della festa di Sant'Omobono, quando si accorge di non avere a disposizione cantori ed organista. Ma ormai il peggio è alle spalle.

“13 novembre. Già aveva fatto conoscere la mia intenzione, ma in questo giorno è venuto il sole dopo tanti giorni piovosi. Tutti avevano il melicotto sull'aia già guasto per le lunghe piogge e tutti sono corsi per far asciugare il frutto delle loro fatiche di tutta l'estate, ma conoscevano che era andato alla malora. In paese quattro canterine erano ammalate della così detta spagnola ed obbligate al letto; il maestro Paderneschi Vittorio è stato colto da questo male e quindi non poteva venire a suonare l'organo. Venute le 10 vado fuori con la messa, 7 o 8 donne soltanto. Cosa doveva fare? Ho dovuto dir messa bassa”.

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